Fonte: Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVII, pag. 205
In tutti i giudizi, in cui è pensata la relazione di un soggetto con il predicato (per considerare solo gli affermativi, perché è poi facile la applicazione ai negativi), questa relazione è possibile in duplice maniera. O il predicato B appartiene al soggetto A come qualcosa che è contenuto (in modo riposto) in questo concetto A; ovvero B è posto interamente fuori del concetto A, sebbene sia in connessione con esso. Nel primo caso dico il giudizio analitico, nel secondo caso sintetico. I giudizi analitici (affermativi) sono dunque quelli in cui la connessione del predicato con il soggetto è pensata mediante identità, mentre quelli, in cui questa connessione è pensata senza identità, si devono chiamare giudizi sintetici. I primi si possono anche chiamare giudizi dichiarativi, i secondi giudizi estensivi: perché quelli nulla aggiungono al concetto del soggetto mediante il predicato, ma soltanto lo dissezionano mediante anatomia nei suoi concetti parziali, che già erano pensati in esso (sebbene confusamente); al contrario i giudizi sintetici aggiungono al concetto del soggetto un predicato, che in quello non era affatto pensato, e che non avrebbe potuto esser ricavato da nessuna anatomia di esso. Per esempio, quando io dico: tutti i corpi sono estesi, questo è un giudizio analitico. Perché io non posso procedere oltre il concetto che congiungo con la parola “corpi”, per trovare l’estensione come connessa con esso, ma soltanto posso anatomizzare quel concetto, cioè diventare soltanto consapevole del molteplice che ognora penso in esso, per trovarvi quel predicato: si tratta dunque di un giudizio analitico. Per contro, quando io dico: tutti i corpi sono pesanti, il predicato è alcunché di interamente diverso da ciò che io penso in generale nel puro concetto del corpo. L’attribuzione di un tale predicato ci dà dunque un giudizio sintetico.
I giudizi di esperienza, come tali, sono tutti quanti sintetici.