Kant e le anticipazione della percezione

Fonte: Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 152-158

Anticipazioni della percezione

II loro principio è: In tutti i fenomeni il reale che è oggetto della sensazione ha una quantità intensiva, cioè un grado.

Dimostrazione.

Percezione è la coscienza empirica, cioè quella coscienza in cui c’è insieme una sensazione. I fenomeni, come oggetti della percezione, non sono intuizioni pure (semplicemente formali) come lo spazio e il tempo (giacché questi in sé non possono essere punto percepiti). Contengono dunque in sé, oltre l’intuizione, anche la materia per un qualsiasi oggetto in generale (onde vien rappresentato qualche cosa di esistente nello spazio e nel tempo), ossia il reale della sensazione, come rappresentazione meramente soggettiva, per cui soltanto si acquista la coscienza che il soggetto è modificato, e che si riferisce ad un oggetto in generale. Ora è possibile un passaggio graduale dalla coscienza empirica alla pura, dove il reale della coscienza empirica sparisce e rimane una coscienza meramente formale (a priori) del molteplice nello spazio e nel tempo; dunque è possibile anche una sintesi del progressivo prodursi della quantità di una sensazione, dal suo principio, cioè dall’intuizione pura = 0, sino ad una quantità qualsivoglia. Ma, poiché la sensazione in sé non è punto una rappresentazione oggettiva, e poiché in essa non si incontra né l’intuizione dello spazio né quella del tempo, ad essa non spetterà una quantità estensiva, bensì una quantità (e ciò per via della sua apprensione, nella quale la coscienza empirica può crescere in un tempo determinato da niente = 0 alla sua misura data), dunque una quantità intensiva; in corrispondenza della quale, a tutti gli oggetti della percezione, in quanto questa contiene una sensazione, deve esser attribuita una quantità intensiva, ossia un certo grado d’influsso sui sensi.

Ogni conoscenza colla quale io posso conoscere a priori e determinare ciò che appartiene alla conoscenza empirica, si può chiamare un’ anticipazione; ed è questo indubbiamente il senso in cui Epicuro adoperò la sua espressione prolessi . Ma, poiché nei fenomeni c’è qualche cosa che non è mai conosciuto a priori, e che costituisce quindi la differenza specifica fra conoscenza empirica e conoscenza a priori, e cioè la sensazione (la materia della percezione); ne segue, che questa è propriamente ciò che non può mai essere anticipato. Al contrario, anticipazioni dei fenomeni potrebbero chiamarsi le determinazioni pure nello spazio e nel tempo, sì rispetto alla figura che alla quantità, poiché esse rappresentano a priori ciò che sempre può esser dato a posteriori nell’esperienza. Ma, ove ci sia qualcosa, che si possa conoscere a priori in ciascuna sensazione, come sensazione in generale (senza che possa essere data una sensazione particolare), questo qualcosa meriterebbe di essere chiamato anticipazione in senso eccezionale, poiché pare strano anticipare sull’esperienza proprio in ciò che appartiene alla materia di essa, e che soltanto da essa può esser prodotto. E la cosa, intanto, qui sta realmente così.

L’apprensione per la semplice sensazione (se io cioè non considero la successione di molte sensazioni) riempie solo un istante. In quanto dunque è qualche cosa nel fenomeno, la cui apprensione non è una sintesi successiva, la quale proceda dalle parti alla rappresentazione totale, essa non ha quantità estensiva; la mancanza della sensazione nello stesso istante rappresenterebbe questo istante come vuoto = 0. Ora, ciò che nella intuizione empirica corrisponde alla sensazione, è realtà (realitas phaenomenon); ciò che corrisponde all’assenza di essa, è negazione = 0. Ma ogni sensazione è suscettibile di diminuzione, tanto che può decrescere, e così a poco a poco sparire. Quindi fra la realtà nel fenomeno e la sua negazione c’è una catena continua di molte possibili sensazioni intermedie, la cui differenza, dall’una all’altra, è sempre più piccola della differenza che v’è fra quella data e lo zero, o completa negazione. Il che significa: il reale nel fenomeno ha sempre una quantità, che per altro non si incontra nell’apprensione, poiché questa avviene mediante la semplice sensazione in un istante e non per sintesi successive di molte sensazioni, e perciò non va dalle parti al tutto; esso ha dunque bensì una quantità, ma non estensiva.

Ora, una tale quantità, che è appresa soltanto come unità, e in cui la molteplicità può essere rappresentata solo per approssimazione alla negazione = 0, io la chiamo quantità intensiva. Dunque, ogni realtà fenomenica ha una quantità intensiva, cioè un grado. Se si considera questa-realtà come causa (della sensazione ? di un’altra realtà fenomenica, per es. d’un cangiamento), allora il grado della realtà in quanto causa si chiama momento; per es., il momento della pesantezza; e ciò appunto perché il grado designa solo la quantità, la cui apprensione non è successiva, ma istantanea. Ma questo io mi contento qui di averlo solamente accennato, giacché per ora non mi occupo della causalità.

Ogni sensazione pertanto, e quindi ogni realtà fenomenica, per piccola che sia, ha un grado, cioè una quantità intensiva, che può sempre esser ancora diminuita; e fra la realtà e la negazione vi è una catena continua di realtà possibili, e di possibili percezioni meno intense. Ciascun colore, per es. il rosso, ha un grado che, per quanto piccolo, non è mai il minimo: e così è del calore, del momento della pesantezza, ecc.

La proprietà delle quantità, per la quale in esse non c’è parte che sia la più piccola possibile (cioè una parte semplice), dicesi la continuità di esse. Spazio e tempo sono quanta continua, perché non si può darne una parte senza chiuderla fra limiti (punti e istanti), e perciò, solo in guisa che la parte data sia alla sua volta uno spazio ? un tempo. Lo spazio dunque consta soltanto di spazi, il tempo di tempi. Punti e istanti sono soltanto limiti, cioè semplici termini della delimitazione di quelli; ma i termini presuppongono sempre quelle intuizioni che essi debbono limitare ? determinare, e coi semplici termini, quasi elementi costitutivi, che fossero pur dati innanzi allo spazio ? al tempo, non può formarsi lo spazio, né il tempo. Quantità di questo genere si possono chiamare anche fluenti, poiché la sintesi (dell’immaginazione produttiva) è nella loro formazione un processo nel tempo, la cui continuità si suole indicare in particolare coll’espressione fluire (scorrere).

Tutti i fenomeni in generale sono pertanto quantità continue, sia per la loro intuizione, come quantità estensive, sia per la semplice percezione (sensazione e quindi realtà), come quantità intensive. Se la sintesi del molteplice del fenomeno è interrotta, allora questo è un aggregato di molti fenomeni (e non propriamente un fenomeno, come un quantum); il quale non è prodotto dalla semplice continuazione della sintesi produttiva d’una determinata maniera, ma dalla ripetizione di una sintesi sempre tralasciata e ripresa. Quando dico tredici talleri una certa quantità di denaro, dico esatto se intendo con ciò la lega di un marco d’argento puro; che è senza dubbio una quantità continua, in cui nessuna parte è la minima possibile, ma ciascuna potrebbe costituire una moneta, contenente sempre materia per pezzi più piccoli. Ma se con questo modo di esprimermi intendo parlare di tredici talleri tondi, cioè di tante monete (sia qualsivoglia la loro lega argentea) allora impropriamente dico questo un quantum di talleri, laddove debbo chiamarlo un aggregato, un numero di monete. Ora, poiché in ogni numero c’è a base l’unità, il fenomeno, in quanto unità, è un quantum, e come tale sempre un continuo.

Se perciò tutti i fenomeni, considerati estensivamente e intensivamente, sono quantità continue, la proposizione che anche ogni cangiamento (passaggio di una cosa da uno stato a un altro) è continuo, potrebbe esser qui facilmente provata con evidenza matematica, se la causalità di un cangiamento in generale non fosse assolutamente fuori dai confini di una filosofia trascendentale, e non presupponesse princìpi empirici. Infatti, che sia possibile una causa che cangi lo stato delle cose, e cioè che le determini in opposizione ad uno stato dato, questo non ce lo dice punto l’intelletto a priori, non solo perché non ne vede in nessun modo la possibilità (infatti questa nozione ci manca nella maggior parte delle nostre conoscenze a priori), ma anche perché la mutabilità riguarda unicamente certe determinazioni dei fenomeni, che solo l’esperienza può insegnare, laddove la sua causa è in quel che non muta. Ma, non avendo innanzi a noi nulla di cui ci si possa servire, tranne i concetti fondamentali puri di ogni possibile esperienza, tra cui non deve essere assolutamente niente di empirico; noi non possiamo, senza ledere l’unità del sistema, invadere il campo della fisica generale, la quale è costruita su certe esperienze fondamentali.

Tuttavia, a noi non mancano prove della grande influenza che questo nostro principio ha per anticipare delle percezioni, e colmare perfino le loro lacune, in modo da serrare la porta a tutte le false conclusioni che se ne potrebbero trarre.

Se ogni realtà nella percezione ha un grado, fra il quale e la sua negazione c’è posto per una serie infinita di gradi sempre minori, e se ogni senso deve tuttavia avere un determinato grado di recettività delle sensazioni; non è possibile una percezione, e perciò nemmeno un’esperienza, che dimostri una totale mancanza del reale fenomenico, sia immediatamente, sia mediatamente (per qualsivoglia mai rigiro di ragionamento); cioè, non si può dall’esperienza ricavare mai una prova dello spazio vuoto del tempo vuoto. Perché l’assenza totale del reale nell’intuizione sensibile, in primo luogo, non può per se stessa essere percepita; in secondo luogo, non può dedursi da un solo fenomeno e dalla differenza di grado della sua realtà, né ammettersi mai come spiegazione del fenomeno stesso. Se anche infatti l’intuizione totale di un determinato spazio ? tempo è interamente reale, se cioè nessuna parte di esso è vuota; tuttavia, poiché ogni realtà ha il suo grado che, rimanendo costante la quantità estensiva del fenomeno, può scemare fino al niente (al vuoto) per gradi infiniti, è necessario che ci siano infiniti gradi diversi di cui sia pieno lo spazio e il tempo; e la quantità intensiva può essere nei diversi fenomeni minore o maggiore, benché quella estensiva della intuizione sia uguale.

Ne daremo un esempio. Quasi tutti i fisici, percependo una gran differenza nella quantità della materia di differente specie sotto lo stesso volume (e per il momento della gravità ? del peso, e per il momento della resistenza ad altre materie in movimento), ne conchiudono concordemente: questo volume (quantità estensiva del fenomeno) deve in tutte le materie, sebbene in misura diversa, esser vuoto. Ma chi avrebbe mai creduto che questi fisici, la massima parte matematici e meccanici, fondassero questa conclusione unica mente su una ipotesi metafisica, che pure essi vanno tanto dicendo di sfuggire, in quanto ammettono che il reale nello spazio (non dico qui impenetrabilità ? peso, poiché sono concetti empirici) sia sempre di una unica specie, e non possa distinguersi se non per la quantità estensiva, cioè per il numero? A questa supposizione, alla quale non possono dare nessuna base nell’esperienza, e che è perciò semplicemente metafisica, io contrappongo una dimostrazione trascendentale; la quale non deve certo spiegare le varie maniere onde lo spazio è riempito, ma nondimeno distrugge del tutto la presunta necessità di quella supposizione, che non si possa spiegare la detta differenza, se non ammettendo spazi vuoti; ed ha il merito di mettere almeno l’intelletto nella libertà di pensare anche in altra maniera questa differenza, quando la spiegazione fisica dovesse render necessaria per ciò una ipotesi qualsiasi. Infatti noi vediamo che, se spazi uguali possono esser riempiti perfettamente da materie diverse, in modo che in nessun d’essi ci sia un punto nel quale non se n’abbia la presenza; tuttavia ogni reale della stessa qualità ha un grado (di resistenza e di pesantezza) di essa; grado, che, senza diminuzione della grandezza di quantità estensiva, può diminuire all’infinito, prima di risolversi e dileguarsi nel nulla. Così una espansione1 che riempie lo spazio, per es. il calore, e parimenti ogni altra realtà (fenomenica), senza lasciare menomamente vuota, di questo spazio, la più piccola parte, può diminuire all’infinito nei suoi gradi, e non dimeno riempire altrettanto lo spazio con questi gradi minori, come un altro fenomeno con gradi maggiori. Il mio scopo non è di affermare che sia questa realmente la ragione della differenza di peso specifico delle materie; ma solo di far vedere, movendo da un principio dell’intelletto puro, che la natura delle nostre percezioni rende possibile una spiegazione di tal genere, e che falsamente si ritiene che il reale fenomenico sia uguale per il grado, e diverso soltanto per l’aggregazione e la sua quantità estensiva, pretendendo perfino di affermarlo a priori come un principio dell’intelletto.

Tuttavia, questa anticipazione della percezione, per un fisico abituato alla riflessione trascendentale e divenuto perciò cauto, ha sempre in sé qualche cosa che colpisce e fa nascere una certa esitanza ad ammettere che l’intelletto anticipi2 una simile proposizione sintetica, come quella del grado di ogni reale fenomenico, e quindi della possibilità della differenza interna della sensazione stessa, astraendo dalla sua qualità empirica; ed è perciò una questione non indegna di essere risoluta, come possa l’intelletto pronunziarsi sinteticamente e a priori sui fenomeni, anzi anticiparli in ciò che è propriamente e semplicemente empirico; che appartiene cioè alla sensazione.

La qualità della sensazione è sempre semplicemente empirica, e non può punto esser rappresentata a priori (per es. colori, gusto, ecc). Ma il reale, che corrisponde alle sensazioni in generale, in contrapposto con la negazione = 0, rappresenta solo qualche cosa, il cui concetto contiene in sé un essere, e non significa altro che la sintesi in una coscienza empirica in generale. Nel senso interno, cioè, la coscienza empirica può essere elevata da zero fino al grado più alto, per modo che la stessa quantità estensiva dell’intuizione (per es. una superficie illuminata) provoca una sensazione cosi grande come potrebbe provocarla un aggregato di molte altre insieme (meno illuminate). Si può dunque astrarre del tutto dalla quantità estensiva del fenomeno, e rappresentarsi soltanto nella semplice sensazione, in un momento, una sintesi dell’incremento uniforme dallo zero alla coscienza empirica data. Tutte le sensazioni quindi come tali vengono solo date a posteriori, ma la loro proprietà di avere un grado si può conoscere a priori. È da notare che nelle quantità in generale noi non possiamo conoscere a priori se non un’unica qualità, cioè la continuità; ma in ogni qualità (reale fenomenico), niente altro che la sua quantità intensiva, ossia che ha un grado; tutto il resto è lasciato all’esperienza.