Frasi performative

Fonte: J. L. Austin, Come fare cose con le parole, trad. it. di M. Gentile  e M. Sbisà, Marietti, Genova, 1974, pagg. 49-54

Il tipo di enunciato che qui stiamo per prendere in considerazione non è, naturalmente, in generale un tipo di non-senso, sebbene un suo uso improprio, come vedremo, possa causare varietà abbastanza particolari di “non-senso”. Piuttosto, esso appartiene alla nostra seconda classe: alle espressioni che mascherano il loro vero significato. Esse non assumono mai un falso aspetto come affermazioni di fatto, descrittive o constatative. Lo fanno per lo piú, anche se molto raramente, solo quando assumono la loro forma esplicita. I grammatici, credo, non hanno saputo cogliere questo “mascheramento” e i filosofi lo hanno fatto solo occasionalmente. A questo punto ci converrà studiare un tale tipo di enunciato nella sua forma fuorviante, per evidenziare le sue caratteristiche fondamentali, confrontandole con quelle dell’affermazione di fatto che essa imita.

Prenderemo come primi esempi alcuni enunciati che non sono compresi in nessuna categoria grammaticale finora conosciuta all’infuori di quella della “affermazione”, enunciati che non sono privi di senso e che non contengono alcuno di quei segni verbali d’allarme che i filosofi hanno scoperto o pensato di aver scoperto (parole curiose come bene o tutto, ausiliari sospetti come dovrei o posso, e costruzioni dubbie come quella ipotetica). Tutti questi enunciati avranno, come per caso, verbi comuni coniugati alla prima persona singolare del presente indicativo attivo. Si possono trovare infatti enunciati che soddisfano queste condizioni e che, pertanto,

A. non “descrivono” o “riferiscono” o “constatano” nulla, non sono “veri” o “falsi”; e sono tali che

B. la enunciazione delle frasi sia una esecuzione di una azione, o parte di tale esecuzione, che si sta svolgendo, la quale, poiché è essa che sta dicendo qualcosa, non potrebbe essere normalmente descritta.

Quanto detto è lungi dall’essere un paradosso come sembra o come forse ho fatto sembrare un po’ sommariamente: lo si scoprirà, in effetti, attraverso gli esempi che ora si daranno.

Esempi:

(E.a) “Sí (prendo questa donna come mia legittima consorte)”, come ci si esprime nel corso di una cerimonia nuziale.

(E.b) “Battezzo questa nave Queen Elizabeth”, come ci si esprime quando si spezza una bottiglia contro la prua di una nave.

Da questi esempi risulta chiaro che pronunziare la frase (naturalmente in circostanze idonee) non è né descrivere il mio fare ciò che dico di star facendo mentre la pronunzio, né affermare che lo sto facendo: è farlo. Nessuna delle espressioni citate è vera o falsa: lo asserisco come ovvio e non lo discuto: ha meno bisogno di argomentazione di quanto ne ha bisogno “dannazione” per dimostrarsi vera o falsa. Può darsi che l’enunciato “serva a informarvi”, ma siamo in un campo diverso. Battezzate la nave è dire (in circostanze idonee) le parole “Io ti battezzo…”. Quando, di fronte all’ufficiale di stato civile o all’altare, dico “Sí”, non sto riferendo su un matrimonio: mi sto sposando.

Come chiariremo una frase o un enunciato simile?

Propongo di chiamarla “frase performativa” o enunciato performativo o, in breve, un “performativo”. Il termine performativo sarà usato in una varietà di casi e di costruzioni, quasi come il termine “imperativo”. I1 nome deriva naturalmente dal verbo inglese “to perform”, il verbo che si usa comunemente con il sostantivo “azione”: esso indica che esprimere l’enunciato è l’esecuzione di una azione. Normalmente non lo si ritiene semplicemente un dire qualcosa.

Numerosi altri termini possono richiamarsi a questo proposito, ciascuno dei quali potrebbe opportunamente comprendere questa o quella classe piú o meno estesa di performativi: per esempio, molti performativi sono enunciati contrattuali (“scommetto”) o dichiarativi (“dichiaro la guerra”). Ma nessun termine che io conosca dell’uso corrente è abbastanza esteso da comprenderli tutti. Un termine tecnico che si avvicina di piú a ciò che stiamo ricercando è forse “operativo”, come viene usato rigorosamente dagli avvocati, quando si riferiscono a quelle clausole di un atto giuridico che servono a effettuate la transazione (o commutazione o trasmissione), loro principale oggetto, laddove la rimanente parte di un documento indica semplicemente le circostanze in cui la transazione deve essere effettuata. Ma il termine “operativo” ha altri significati e in verità oggigiorno esso è usato spesso per significate poco piú che la parola “importante”. Ho preferito una parola nuova, cui, sebbene la sua etimologia non sia irrilevante, non saremo forse cosí pronti ad attribuire un qualche significato preconcetto.