Le finestre sull’Assoluto

Fonte: M. Scheler,  Weltanschauung filosofica, in Lo spirito del capitalismo, a cura di R. Racinaro, Guida, Napoli, 1988, pagg. 248-250

Il secondo genere di sapere per noi possibile è il sapere della scienza filosofica fondamentale, che Aristotele chiamava “filosofia prima” – cioè la scienza dei modi dell’essere e della struttura essenziale di tutto ciò che è. Il fatto che, nel caso di questo sapere d’essenze, si tratta di un genere di sapere nettamente contrapposto al sapere di dominio e all’essere che gli corrisponde – di un campo poderoso d’indagine filosofica dotata di metodo proprio – è stato nuovamente scoperto da relativamente poco tempo, da parte di E. Husserl e della sua scuola. Nel sapere di dominio vengono cercate … le leggi delle coincidenze spazio-temporali delle causali realtà e del loro esser-cosí. Al contrario, in questa seconda direzione di ricerca si prescinde appunto, in maniera rigorosa e metodica, dalle causali posizioni spazio-temporali e da ciò che è casualmente cosí o altrimenti. Piuttosto, si domanda: “Che cos’è il mondo, che cos’è per es. un cosiddetto ‘corpo’ qualsiasi, che cos’è un qualsiasi ‘essere vivente’, che cos’è l’essenza della pianta, dell’animale, dell’uomo ecc., secondo la sua costruzione invariabile di strutture essenziali?” E analogamente: che cos’è “pensare”, che cos’è l’“amore”, che cos’è “sentire la bellezza”? – indipendentemente dalla causale corrente temporale di coscienza di questo o quell’uomo, in cui de facto si presentano questi atti.

Quali sono, ora, i connotati principali di questo genere di conoscenza e d’indagine? Al posto della disposizione volta al dominio del mondo subentra innanzi tutto il tentativo di escludere quanto piú possibile ogni atteggiamento cupidamente pulsionale. Ché questo atteggiamento pulsionale è bensí … la condizione di ogni impressione di realtà; ma anche la condizione per venir alla luce di ogni percezione sensibile del causale esser-cosí-ora-qui;  inoltre, per gli abbozzi fatti in anticipo di spazio e tempo. Per dirlo positivamente: al posto della disposizione di dominio, che aspira alle leggi della natura e consapevolmente trascura l’essenza di ciò che si presenta nelle relazioni conformi a legge, subentra un atteggiamento d’amore, che cerca i fenomeni originali e le idee del mondo.

In questa disposizione, in secondo luogo, si prescinde esplicitamente dall’esistenza reale delle cose, cioè dalla loro possibile resistenza di contro al nostro tendere e agire e, proprio con ciò, da ogni esser-cosí-ora-qui semplicemente causale, quale ce l’offre la percezione sensoriale. Pertanto, possiamo compiere una conoscenza d’essenza, in linea di principio, anche su cose fantastiche. Per es. posso afferrare, anche nel movimento apparente di un cinematografo o anche in un cane ben dipinto, delle ultime componenti intuitive che appartengono all’essenza (essentia) di un movimento in generale, di un “essere vivente” in generale ecc.

In terzo luogo: le conoscenze d’essenze sono invero non indipendenti da ogni esperienza bensí indipendenti dal quantum di esperienza o dalla cosiddetta “induzione”. Esse precedono pertanto sia ogni induzione sia ogni osservazione e ogni misurazione rivolta alla realtà. Esse possono essere compiute in un unico caso che funge da esempio. Ma, una volta che tali conoscenze d’essenza, per es. l’essenza della vita, siano state acquisite, allora valgono, come dice il linguaggio scolastico, “a priori”, cioè “in anticipo” per tutti i casuali dati di fatto osservabili che partecipano della relativa essenza, con essenza, con una universalità e con una necessità infinite – analogamente a come i principi della matematica pura riflettono le molteplicità delle possibili strutture naturali e le relazioni ideali necessarie che in esse si presentanoprima che la natura effettiva venga indagata grazie alla osservazione e alla misurazione. Proprio per questo, però, – in quarto luogo – le conoscenze d’essenze e le conoscenze di nessi essenziali valgono oltre e al di là dell’ambito assai ridotto del mondo reale, che ci è accessibile per mezzo dell’esperienza sensibile e del suo casuale sostegno strumentale. Queste conoscenze valgono, insieme, per l’essente, come è per se stesso e in se stesso. Esse hanno estensione “trascendente” e divengono, cosí, il trampolino per ogni “metafisica critica”.

Le conoscenze d’essenza della “filosofia prima”, inoltre (quinto), sono le vere e proprie conoscenze della “ragione”; rigorosamente distinte da quegli ampliamenti della nostra conoscenza circa il dato sensibile, che si fondano sulle conclusioni dell’“intelletto” semplicemente comunicabili. Il Verstand, ovvero “intelletto” (Intellekt) è la capacità di un organismo, elevandosi al di sopra del rigido istinto innato e al di là del ricordo associativo, di adattarsi sensatamente a nuove situazioni – tutt’in una volta e indipendentemente dal numero delle prove-tentativi fatti precedentemente per risolvere il compito. Questa capacità la possiede non solo l’uomo, ma anche, in misura piú ridotta, l’animale, per es. la scimmia, che improvvisamente usa un bastone come prolungamento del braccio, per tirar giú un frutto. Fino a quando però l’intelletto conclusivo sta soltanto al servizio degli impulsi vitali, dell’impulso di nutrizione, di quello sessuale e dell’impulso di potere, e al servizio della reazione pratica agli stimoli dell’ambiente, non è ancora specificamente umano. Solo quando l’intelletto (nell’animale, astuzia e furbizia) passa al servizio della ragione, cioè al servizio dell’applicazione di conoscenze d’essenza, a priori precedentemente compiute, ai casuali dati di fatto dell’esperienza, nonché al servizio di una comprensione superiore delle relazioni dell’ordinamento oggettivo dei valori, cioè al servizio della saggezza e di un ideale etico, solo allora esso diviene qualcosa di specificamente umano.

Infine, le conoscenze d’essenze hanno una duplice possibilità d’applicazione. Per ogni settore delle scienze positive (matematica, fisica, biologia, psicologia ecc.) esse delimitano i supremi presupposti del relativo settore di ricerca. Esse costituiscono la sua “assiomatica essenziale”. Ma per la metafisica, la medesime conoscenze d’essenza sono appunto ciò che una volta Hegel ha definito, in maniera molto plastica, le “finestre sull’Assoluto”.