Angoscia della perdita (11/17)

La prima condizione d’angoscia, dice Freud in Inibizione, sintomo e angoscia[1], è quella della perdita della percezione, che viene assimilata alla perdita dell’oggetto.

L’oggetto, pur rimanendo presente, può diventare cattivo, può perdere l’amore e ciò lo farebbe diventare un nuovo ed ancora più durevole pericolo: una nuova condizione d’angoscia.

Se il dolore è la reazione più naturale dinanzi alla perdita dell’oggetto, l’angoscia è la reazione al pericolo che tale perdita comporta. Il dolore, per Freud sorge quando uno stimolo che colpisce la periferia riesce a far breccia nello scudo che protegge dagli stimoli e agisce come uno stimolo pulsionale assillante, contro il quale le azioni muscolari, che in altre condizioni risultano essere efficaci in quanto sottraggono allo stimolo il luogo stimolato, non hanno alcun potere. Nel dolore corporeo si realizza un elevato investimento narcisistico delle zone dolenti del corpo. Questo investimento aumenta costantemente agendo sull’Io in modo svuotante. Il passaggio dal dolore fisico al dolore psichico è assimilabile alla trasformazione da un investimento narcisistico a un investimento oggettuale. Il lutto, per Freud, si manifesta quando il soggetto si confronta con la realtà della perdita che esige il distacco dall’oggetto che non c’è più. Il lutto ha la missione di rendere esecutiva la retrocessione dall’oggetto in tutte le situazioni in cui questo era stato pesantemente investimento.


[1] Inibizione, sintomo e angoscia, (in particolare, Inibizione Aggiunte: Angoscia, dolore e lutto, 1925), in OSF, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, Vol. 10, pp. 314-17.